Dove sta andando il mondo? – 2

Verso nuove guerre o l’umanità troverà la strada per costruire un mondo migliore?

L’umanità si troverà a dover fronteggiare nuove guerre, conflitti e gli impatti sempre più cruenti dei cambiamenti climatici, oppure troverà la strada verso un futuro più equo e sostenibile?

In questa serie di post, presento alcuni possibili scenari di evoluzione. Qui presento alcune valutazioni sugli sviluppi a breve-medio termine (2022-2035).

Copertina libro "Ritorno al pianeta" di Pierluigi Adami Leggi anche: “Ritorno al pianeta – L’avventura ecologica dai Neanderthal alla pandemia” saggio di Pierluigi Adami (Bordeaux Edizioni, settembre 2021)

Le crisi attuali, politico-militari, economica e climatica, condizionano i prossimi sviluppi della civiltà umana

Nel precedente post “Dove sta andando il mondo? – 1” (vedi) abbiamo osservato come l’evoluzione politica degli ultimi 14 anni, iniziata dalla crisi economica del 2008 ed esacerbata dalla pandemia, abbia portato alla crisi del processo di globalizzazione e al ritorno di nazionalismi molto aggressivi, che possono alimentare guerre e conflitti sanguinosi.

Ci siamo chiesti se, tra la globalizzazione, causa di disastri ambientali e climatici, e il nazionalismo aggressivo esista una possibile terza via. Una terza via in grado di guidare un’evoluzione sostenibile ed equilibrata della civiltà umana.

La possibilità di un’evoluzione positiva è condizionata dagli sviluppi delle crisi in corso, militari, economiche, ambientali-climatiche e sociali, che possono mutare gli sviluppi in varie direzioni.

 Cerchiamo allora di immaginare alcuni scenari possibili a breve e medio termine.

CI ASPETTANO ANNI DI TENSIONI E INSTABILITA’

Lo scenario più probabile a breve termine prevede che per alcuni anni, forse per un’intera decade, tensioni e conflitti non tenderanno a ridursi. Anzi, è possibile che sperimenteremo un periodo di grande instabilità.

Le ragioni di questa instabilità si possono ricondurre a due fronti:

  1. Politico-militare: le spinte nazionalistiche e conflitti etnici manterranno alta la tensione in varie parti del mondo. Ai conflitti attuali – in Africa (Congo, Mali, Sudan, Nigeria, Etiopia, Libia ecc.) e Medio Oriente (Palestina, Yemen, Siria) – potrebbero aggiungersene altri. Questi conflitti aggravano la povertà di terre già pesantemente colpite dal riscaldamento globale.
  2. Ambientale-climatica: siamo nel pieno della transizione dal mondo del petrolio e del carbone a un altro, delle fonti energetiche pulite. Molti stati – tra cui Europa, Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud – si sono impegnati a ridurre del 55% le emissioni di gas serra già entro il 2030, per arrivare alla “neutralità climatica” entro il 2050 (per la Cina, entro il 2060). L’Italia entro il 2030 dovrà produrre il 72% dell’elettricità da fonti rinnovabili (oggi è al 38%). Un vero terremoto energetico.

Il drammatico impatto della guerra in ucraina

Gli effetti della guerra in Ucraina continueranno per anni a rendere critici i rapporti tra l’Occidente democratico e la Russia. Questa tensione manterrà alto il prezzo delle fonti energetiche fossili in Europa, almeno finché le fonti rinnovabili non consentiranno di ridurre drasticamente i consumi di fonti fossili (intorno al 2032-35).

La paura di una guerra nucleare sta ora offuscando nelle opinioni pubbliche la percezione di urgenza degli interventi sul clima, ritenuti prioritari sino al 2021 dalla maggioranza delle popolazioni.

La guerra, che di per sé provoca forti emissioni di gas serra, sta mobilitando ingenti capitali verso le spese militari. La grave crisi economica e l’inflazione, acuite dalla stessa guerra, sottrarranno altre risorse che avrebbero dovuto essere destinate agli investimenti per il clima.

Ogni rivoluzione comporta dei costi e non e’ indolore

In “Ritorno al pianeta” (vedi) osservo che il mondo è vissuto per oltre due secoli sul sistema di potere basato sul petrolio, sul carbone e sul gas. Nel nome del petrolio sono state scatenate guerre sanguinose. Il petrolio ha deciso le sorti, la ricchezza o la povertà di intere popolazioni. E ora, nel giro di pochi anni dobbiamo cambiare tutto. Stiamo iniziando una vera rivoluzione. Come ogni rivoluzione, non è un processo del tutto indolore.

Ma non abbiamo alternative. Gli impatti climatici, ad esempio in termini di siccità o inondazioni, sono già molto gravi anche nel nostro Paese. Senza ingenti finanziamenti, per molti stati in via di sviluppo gli impatti potrebbero diventare insostenibili anche a breve termine. Un ritardo o una riduzione negli investimenti per il clima avrebbe gravi conseguenze in termini di più forti ondate migratorie dai paesi poveri verso l’Europa, accentuando ulteriori tensioni sociali.

LA TRANSIZIONE ECOLOGICA e i paesi produttori di petrolio

La forte riduzione, nel giro di pochi anni, della “black economy” delle fonti fossili potrebbe creare molta instabilità prima che le società umane si assestino verso un nuovo equilibrio mondiale.

Ci sono paesi come l’Arabia Saudita le cui entrate economiche dipendono per il 70% dal petrolio e le esportazioni di greggio rappresentano l’85-95% del totale. A parte pochi stati democratici come Norvegia, Canada, USA e Messico, il resto dei paesi produttori di petrolio, inclusa la Russia, è per lo più governato da regimi autoritari, come nei paesi arabi, in Medio Oriente, in Venezuela, o con tasso di corruzione molto elevato, come in Nigeria.

In entrambi i casi, il grosso della ricchezza proveniente dal petrolio finisce nelle mani di pochi oligarchi di governo, o legati al governo. Gli stati produttori di petrolio dovranno compensare la perdita di ricavi promuovendo radicali ristrutturazioni della loro economia, dei sistemi produttivi e del portafoglio di prodotti da esportare.

Per la transizione, servono governi lungimiranti

Per mettere in atto una trasformazione così radicale in pochi anni, servono ingenti investimenti, governi lungimiranti e competenze. Però, gli stati produttori di petrolio non democratici, di solito sono governati da politici ben poco lungimiranti e competenti e potrebbero non reggere l’impatto della transizione ecologica.

Se la transizione verso le energie pulite sarà veloce – come dovrebbe essere – intorno al 2030 la riduzione dei proventi del petrolio e carbone, potrebbe destabilizzare vari stati. E’ un ipotesi, ma non si può escludere, nel corso del prossimo decennio, l’accensione di focolai di rivolte, sommosse popolari e guerre civili.

I paesi produttori di petrolio non “molleranno l’osso”

Durante le fasi di squilibrio più acuto è lecito attendersi nei paesi in crisi ulteriori rigurgiti nazionalistici, chiusure sovraniste, che potrebbero scatenare conflitti interni o con i confinanti e colpi di stato militari.

E’ probabile che il sistema di potere che ha governato il mondo sino a oggi non “molli l’osso” facilmente. Cercherà di rallentare il processo di transizione ecologica. Se dovesse accadere, le conseguenze per il clima del pianeta sarebbero estremamente gravi. Tutti i dati scientifici indicano che, in assenza di interventi urgenti di riduzione delle emissioni di gas serra, gli impatti del riscaldamento globale sarebbero irreversibili e catastrofici.

Ad esempio, la guerra scatenata dalla Russia sta già provocando ingenti emissioni di gas serra e potrebbe ritardare investimenti fondamentali per il clima. Oppure, basterebbe tra meno di tre anni la rielezione negli USA di un presidente come Trump per rimettere tutto in discussione.

Comunque, al di là di quello che faranno la Russia e gli USA, l’Europa, che non dispone di grandi risorse energetiche fossili, cercherà di accelerare la transizione verso le fonti rinnovabili da qui al 2030. Ancora più interessante è quel che farà la Cina. La Cina dispone di carbone, combustibile però sempre meno utilizzabile per ragioni climatiche, ma non di petrolio o gas. Inoltre dispone di grandi quantità delle cosiddette “terre rare” ovvero quei minerali che sono fondamentali per produrre elementi per pannelli fotovoltaici e batterie per motori elettrici. In realtà le “terre rare” rare non sono, ma sono complesse da estrarre a costi ragionevoli; ad oggi, la Cina è il principale produttore di questi materiali.

Dunque anche la Cina ha tutto l’interesse ad accelerare la transizione verso le rinnovabili e l’elettrico. La spinta della Cina potrebbe davvero cambiare la storia.

Che cosa ci attende da ora al 2030?

Dunque, da ora al 2030-35 ci attendono – probabilmente – anni di grandi trasformazioni ma anche di tensioni in varie parti del mondo. Gli impatti congiunti di guerre, cambiamenti climatici, crisi economiche e migratorie, mutamenti radicali del modello di sviluppo globale a seguito della transizione ecologica, rendono la prossima decade particolarmente esposta a tensioni e conflitti.

Ma cosa potrebbe succedere dopo, quando in un modo o nell’altro si dovrà arrivare a un nuovo ordine mondiale?

Nel prossimo post “Dove sta andando il mondo – 3” presenterò tre possibili scenari di evoluzione futura, da quello più terribile – il caso peggiore – a quello in cui la politica mondiale sarà inerte, incapace di favorire il cambiamento (“business as usual”) a quello migliore, in cui vi sarà una vera svolta verso un mondo migliore e più sostenibile.

Alla prossima puntata!