Dove sta andando il mondo – 3: Lo scenario catastrofico

Lo scenario peggiore di evoluzione della società umana nei prossimi anni

SOMMARIO

  • LO SCENARIO PEGGIORE: GUERRE CATASTROFICHE
  • L’impatto della transizione ecologica
  • Il riscaldamento globale diventa irreversibile
  • L’aumento della popolazione: fattore di rischio elevato
  • Aumento incontrollabile del fenomeno migratorio
  • E’ l’intera civiltà umana a rischio
  • LA GUERRA ATOMICA
  • Quante sono e chi deteniene armi atomiche?
  • La contrapposizione atomica NATO – Russia
  • Le armi atomiche in Asia
  • Medio Oriente; un’area a rischio
  • Altri stati che detengono ordigni atomici: il caso Italia
  • Quanto costano gli ordigni atomici?
  • Miliardi per costruire armi atomiche e non per il progresso umano
  • Le drammatiche conseguenze di un’umanità perduta

Copertina libro "Ritorno al pianeta" di Pierluigi AdamiLeggi anche: “Ritorno al pianeta – L’avventura ecologica dai Neanderthal alla pandemia” di Pierluigi Adami, Bordeaux edizioni

Premessa

Nel primo articolo “Dove sta andando il mondo – 1” (vedi) abbiamo osservato come, a partire dalla crisi economica del 2008 siano avanzati nel mondo partiti populisti e sovranisti, fortemente nazionalisti. Questa tendenza politica ha sovvertito il precedente ordine mondiale iniziato negli anni ottanta del Novecento, basato su politiche neoliberiste che hanno favorito una globalizzazione spesso incontrollata dei mercati e dei sistemi produttivi.

Nel secondo articolo “Dove sta andando il mondo – 2” (vedi) abbiamo valutato che il prevalere di nazionalismo e sovranismo, porterà a un decennio e oltre (2022-35) caratterizzato da forte instabilità, tensioni e conflitti anche cruenti.

In questo e nei prossimi articoli cerchiamo di ipotizzare tre scenari, a seconda di come l’umanità affronterà crisi, conflitti e transizione ecologica: dallo scenario peggiore che prevede un aumento delle guerre a livello mondiale; un secondo scenario intermedio: si ignorano i problemi e non si fa abbastanza per risolverli, a iniziare da quello climatico (business as usual); sino allo scenario migliore, ossia il giungere a un nuovo ordine mondiale meno conflittuale e basato sulla sostenibilità sociale e ambientale.

LO SCENARIO PEGGIORE: GUERRE CATASTROFICHE

In questo scenario gli effetti congiunti di nazionalismi aggressivi, conflitti etnici, rivalità territoriali, crisi energetiche e di materie prime, potrebbero generare nuove guerre, come è già avvenuto con l’invasione russa dell’Ucraina.

Premetto che tra i 3 scenari, ritengo che questo sia il meno probabile. A differenza della percezione pessimistica dovuta alla guerra scatenata nel cuore dell’Europa, ritengo che il percorso storico dell’umanità vada invece verso un’altra direzione, più pacifica. Tuttavia l’aggressività del comportamento umano potrebbe condurre a scelte insane e irreparabili; pertanto anche questo scenario va ritenuto comunque possibile.

L’impatto della transizione ecologica

La criticità di questo scenario potrebbe essere accentuata dalla transizione ecologica, che richiede una ridefinizione di modelli di sviluppo e di produzione consolidati da secoli. L’impatto della transizione ecologica potrebbe coinvolgere e destabilizzare nel giro di pochi anni i paesi che hanno basato la loro ricchezza sul petrolio, carbone e gas. La stessa guerra in Ucraina ha evidenziato il legame tra quel conflitto e la questione energetica.

Se la transizione ecologica dovesse procedere come indicato nell’Accordo di Parigi del 2015 e successive integrazioni, entro questo decennio i ricavi per i paesi produttori di petrolio dovrebbero ridursi sensibilmente.

La guerra scatenata dai russi e l’aumento globale dei prezzi dell’energia, stanno accelerando la corsa verso le fonti rinnovabili. L’aumento dei costi energetici sta spingendo molte imprese europee, favorite anche dagli investimenti del Next Generation EU (in Italia, il PNRR) ad aumentare l’efficienza energetica, soprattutto dei motori elettrici.

L’insieme di questi fattori in pochi anni dovrebbe tagliare in modo rilevante le importazioni di fonti fossili da paesi extraeuropei. L’obiettivo europeo e di molti paesi del mondo è ridurre le emissioni di gas serra del 55% (rispetto al 1990) entro il 2030. Per ora siamo a poco più del 20%, dunque i tagli sui consumi dovranno essere drastici.

Questa nuova condizione energetica potrebbe condurre a forti tensioni nei paesi produttori di petrolio. Riduzioni dei ricavi dall’export, crisi economiche, calo del PIL e impoverimento delle popolazioni, potrebbero destabilizzare alcuni paesi, se non riusciranno ad adeguare in fretta il loro modello di sviluppo. Non sarà facile. Queste tensioni potrebbero causare conflitti sempre più gravi ed estesi, colpi di stato, sino a vere e proprie guerre, civili o di invasione.

I paesi più a rischio sono proprio la Russia, l’Arabia Saudita, l’Iraq, l’Iran, gli Emirati Arabi, il Kuwait; in Africa la Libia, l’Algeria, la Nigeria, l’Angola. Alcuni stati – a cominciare da quello Saudita – stanno cercando di integrare il loro modello produttivo, ma in generale si tratta di paesi spesso già teatro di conflitti sanguinosi e di guerre civili, anche in anni recenti. In Sud America, i principali produttori sono Venezuela e Brasile, ma la situazione geopolitica del continente appare meno critica.  

Rapporto tra guerre e riscaldamento globale

Nonostante oggi sia dominante la preoccupazione per un possibile Day After atomico, l’aspetto più critico di questo scenario sarebbe il moltiplicarsi a livello globale di decine di conflitti, che ritarderebbero in modo irrimediabile la lotta ai cambiamenti climatici.

Ogni guerra uccide migliaia di persone e devasta non solo le città e le infrastrutture, ma anche l’ambiente e la natura. Ogni guerra contamina il suolo e le acque, provoca incendi, grave inquinamento dell’aria, a seguito di polveri e gas da esplosioni; la mobilità di mezzi pesanti fortemente inquinanti, causa emissioni in atmosfera di grandi quantità di anidride carbonica.

Secondo i dati presentati dal governo ucraino all’Unione europea a ottobre 2022, in sette mesi di guerra sono state emesse in atmosfera più di 31 milioni di tonnellate di CO2, equivalente alle emissioni annuali di un paese come la Nuova Zelanda [1]. Il danno ambientale per l’Ucraina alla stessa data è stato stimato in 36 miliardi di euro.

L’aumento della popolazione, fattore di rischio elevato

Un altro grave fattore di rischio per l’umanità è la sovrappopolazione. Siamo già 8 miliardi, e le previsioni indicano che intorno al 2050 raggiungeremo il picco di 10 miliardi di uomini sulla Terra. Un pianeta così densamente popolato, potrà sostenersi solo se vi sarà un colossale sviluppo sociale, economico e culturale in ogni parte del mondo. Solo una comunità umana molto evoluta, dotata di nuove tecnologie innovative, in particolare nel campo agricolo e della gestione delle risorse naturali, potrà rendere compatibile la presenza di così tanti uomini in un sistema naturale dalle risorse limitate. Serviranno ingenti investimenti anche per ridurre la disparità tra paesi ricchi e paesi poveri, perché ogni squilibrio potrebbe non essere più sostenibile.

Tuttavia, se i Sapiens getteranno miliardi di dollari per combattersi, non avranno le risorse per sviluppare e diffondere sostenibilità ed equità tra i popoli. L’aumento della popolazione, se non gestito, potrebbe causare ulteriori e ancor più gravi conflitti, anche per l’accesso a risorse primarie come cibo e acqua.

Aumento del fenomeno migratorio

Ogni conflitto sposta ingenti quantità di capitali in armamenti e quando la guerra finisce servono elevate somme di denaro per la ricostruzione. Soldi che avrebbero dovuto essere destinati allo sviluppo sociale e alla formazione, alla sanità, alla lotta contro il riscaldamento globale.

I mancati investimenti per la mitigazione delle emissioni di gas serra e per i sistemi di adattamento espongono gli stati in guerra a impatti climatici più gravi.

Come effetto, le guerre aumentano in modo rilevante il fenomeno migratorio, non solo per la guerra in sé, ma anche per l’impossibilità di far fronte agli impatti climatici, come siccità, alluvioni, uragani. I territori a rischio climatico, senza adeguate misure di tutela, non saranno più in grado di garantire adeguati sevizi ecosistemici necessari alla vita dell’uomo, e dunque di fornire i mezzi di sussistenza, come la produzione di alimenti e la disponibilità di acqua. 

La stima ONU (2008) di 200 milioni di persone costrette a migrare per motivi climatici entro il 2050 [2], potrebbe dunque toccare il valore estremo di 1 miliardo di migranti climatici, se le guerre tra i popoli del mondo dovessero aumentare [3].

E’ l’intera civiltà umana a rischio

Anche senza una nuova guerra mondiale con armi atomiche, l’aumento dei conflitti potrebbe dunque generare una pericolosissima destabilizzazione globale. Un livello migratorio così alto non potrà che aumentare ulteriormente le tensioni sociali e la conflittualità violenta. Una situazione esplosiva, i cui esiti non potranno che essere drammatici. E’ l’intera civiltà umana, come l’abbiamo costruita in millenni di storia, ad essere a rischio.

La guerra atomica

Quante sono e chi detiene le armi atomiche?

Sino al febbraio 2022 avrei considerato l’ipotesi di una guerra atomica solo come un puro esercizio teorico. L’invasione russa dell’Ucraina ha però impresso una svolta drammatica al percorso dell’umanità. Quel che sembrava ormai uno spettro degli anni lontani della Guerra Fredda, è tornato ad angosciare le nostre vite.

Secondo l’autorevole Istituto Internazionale di ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), in tutto il mondo sono stoccati quasi 13.000 ordigni atomici, dei quali 2000 in operatività “calda” ossia pronti per l’utilizzo (vedi). Ognuno di questi con capacità di uccidere da 1 a 10 milioni di persone, a seconda della popolazione colpita e della propagazione radioattiva. Sono dunque potenzialmente in grado di sterminare l’intera umanità (vedi).

Nove stati dispongono della tecnologia e producono armi atomiche: Cina, Corea del Nord, Federazione Russa, India, Pakistan, USA, Francia, Gran Bretagna, Israele. In generale, le armi atomiche sono state costruite da questi stati a scopo deterrente, ossia per prevenire, attraverso la minaccia atomica, possibili aggressioni o invasioni.

La contrapposizione atomica NATO – Russia

Stati Uniti e Russia, dalla fine della Guerra Fredda hanno parzialmente ridotto il loro arsenale atomico, ma il conflitto in Ucraina porterà un probabile riarmo. L’insieme dei paesi NATO dispone oggi di circa 5943 ordigni atomici, tra bombe e testate nucleari per missili.

L’arsenale atomico della Russia è pressocché analogo, con 5977 ordigni; la dottrina sull’uso delle armi atomiche, aggiornata da Putin nel 2020, prevede il loro utilizzo esclusivamente nel caso in cui vi sia una minaccia all’esistenza stessa della Federazione Russa [4].

Le armi atomiche in Asia

La Cina, storicamente non era un paese particolarmente bellicoso, ma dispone comunque di 350 ordigni atomici. In Cina è in atto un forte riarmo che include anche la produzione di nuove testate atomiche. La questione di Taiwan rappresenta la principale criticità dell’area: l’isola è considerata dalla Repubblica Popolare Cinese una propria provincia, ma dagli anni ’50 è lì al potere un governo indipendente, con capitale de facto Taipei. Anche se tale governo non è riconosciuto da quasi nessun paese del mondo, inclusi gli Stati Uniti, proprio gli USA hanno dichiarato di voler tutelare l’indipendenza del governo di Taipei, contro eventuali invasioni cinesi. A ottobre 2022 il presidente cinese Xi ha ribadito la volontà cinese di far tornare Taiwan sotto il controllo di Pechino, anche con l’uso della forza.

Un’eventuale azione militare cinese contro Taiwan metterebbe in seria difficoltà i paesi occidentali. Verso la Cina, ad esempio, sarebbe impossibile emettere sanzioni analoghe a quelle decise contro la Russia o l’Iran. Il nostro mondo contemporaneo si basa su prodotti realizzati spesso in Cina, con materie prime, come le terre rare (utilizzate in ogni computer, telefonino, ma anche in dispositivi sanitari e persino militari, ndr), detenute quasi in esclusiva dalla Cina. Bloccare la Cina significherebbe bloccare l’intera produzione industriale mondiale. Questo, ovviamente, non è possibile, e la Cina lo sa.

Tra i paesi asiatici più critici, vi è la Corea del Nord che dispone sicuramente di una ventina di testate atomiche (secondo altre fonti, sino a 50), in mano a una dittatura assoluta, basata sul culto della personalità del leader e della dinastia Kim, instaurata negli anni ’50 e da allora parzialmente tutelata dal regime comunista cinese. Ma è proprio la disponibilità di armi atomiche a tenere in vita uno dei regimi più oppressivi del pianeta.

C’è poi il Pakistan – oggi quasi al default – che detiene ben 165 ordigni atomici, ma la cui fragilità economica e politica non dà certezze per un futuro pacifico.

Il Medio Oriente, un’area a rischio

Un’area molto a rischio è il Medio Oriente. Israele, dalla sua fondazione in perenne conflitto con la Palestina, si è dotato dagli anni ’70 di circa 90 ordigni atomici (ma non lo ha mai rivelato ufficialmente). Questa scelta ha rischiato di far proliferare le armi di distruzione di massa nell’intera area e in Nord Africa. Stati come Egitto, Libia, Iraq arrivarono ad acquisire conoscenze, tecnologie e materiali per costruire ordigni atomici verso la fine del Novecento, ma i successivi eventi storici hanno impedito che portassero a termine i loro programmi.

Poi c’è l’Iran: è stato accusato di aver sviluppato la tecnologia di arricchimento dell’uranio necessaria per produrre armi atomiche. Il regime di Teheran smentisce, sostenendo che tali tecnologie servirebbero per produrre energia nucleare a scopo civile e non per uso militare. La “guida suprema” del paese, l’ayatollah Khamenei ha dichiarato che le armi nucleari sono “proibite” dalla legge islamica (vedi). La questione del nucleare iraniano va avanti da molto tempo ed è ancora controversa. L’Iran è per questo ed altri motivi (sostegno a gruppi terroristici internazionali) oggetto di pesanti sanzioni dai paesi occidentali e dagli USA. Sono comunque in corso da anni negoziati a Vienna per indurre l’Iran a sospendere il programma nucleare.

L’impressione è che, a parte i sistemi di arricchimento dell’uranio, l’Iran sia lontano dal disporre dell’intera filiera tecnologica e militare per realizzare ordigni atomici. Tuttavia il suo recente avvicinamento alla Cina e il forte sostegno dato alla Russia nel conflitto ucraino, rappresentano una ulteriore fonte di tensione con i paesi occidentali. Un Iran dotato di bomba atomica porterebbe a un’escalation nucleare nell’intera area mediorentale, a iniziare dall’Arabia Saudita, con conseguenze ora imprevedibili. Quest’area del pianeta va dunque monitorata con attenzione e preoccupazione.

Altri stati che ospitano ordigni atomici – il caso Italia

Vi sono poi altri stati NATO che ospitano sul proprio territorio ordigni atomici. L’Italia ad esempio detiene decine di ordigni atomici di produzione USA nelle basi militari statunitensi di Aviano e Ghedi, nel Nord-Est. Stime indicano che il nostro paese è costretta ogni anno a spendere intorno ai 100 milioni di euro per la gestione degli ordigni nucleari sul proprio territorio (vedi la nota di Greenpeace).

Quanti costano gli ordigni nucleari?

Il costo di una singola bomba o testata atomica varia grosso modo tra 5 e 30 milioni di dollari ciascuna; ad esempio, la “classica” bomba atomica americana B61, costa circa 28 milioni ciascuna e ne sono stati prodotti dal 1968 (in varie versioni) 3155 pezzi [1].

A questo costo va aggiunto quello di chi lancia gli ordigni: i missili hanno un costo che può arrivare ai 34 milioni circa l’uno di un Minuteman III, missile balistico intercontinentale in grado di scagliare ordigni atomici alla distanza di 11.000 km dal punto di lancio. Il costo degli aerei bombardieri si aggira tra i 500 milioni e 2 miliardi di dollari ciascuno [2], ma nella storia vi sono stati bombardieri ben più costosi come il famigerato Boeing B29 Superfortress che scagliò le bombe atomiche sul Giappone, costato l’equivalente odierno di 45 miliardi (vedi anche Forbes).

Miliardi per costruire ordigni atomici e non per il progresso umano

Questi numeri indicano che dal dopoguerra a oggi, l’umanità ha sprecato diverse centinaia di miliardi di dollari per costruire bombe, testate atomiche e per i mezzi di lancio. I paesi nucleari hanno inoltre speso decine di miliardi per costruire i sistemi di produzione di uranio arricchito e plutonio, e ogni anno devono investire altri miliardi per conservare in sicurezza questi ordigni che, essendo pieni di materiale altamente radioattivo, richiedono complessi sistemi di gestione, controllo e manutenzione.

Non è retorico domandarsi quale grande progresso avrebbe fatto l’umanità se dal 1945 a oggi avesse investito quelle centinaia di miliardi anziché per costruire ordigni atomici, per la ricerca nella medicina, per la formazione e per contribuire al progresso economico e sociale dei paesi più poveri.

Le drammatiche conseguenze di una umanità perduta

Questo scenario va contro l’evoluzione storica della società umana, che è comunque progredita e sta seguendo un lento percorso (tendenziale) di unificazione.

Tuttavia la naturale tendenza aggressiva e prevaricatrice dell’Homo Sapiens, anche contro i propri simili, potrebbe scatenare derive così violente da generare esiti incontrollabili, vista la potenza e la grande disponibilità di armi di distruzione di massa.  

Un aspetto irrimediabile di un eventuale proliferazione dei conflitti, sarebbe proprio l’abbandono di quel percorso storico di progressiva pacificazione e riduzione della violenza, la perdita di un comune sentire, di una condivisione mondiale per affrontare nel modo migliore le sfide globali, come la fame, le malattie, il riscaldamento globale.

Una guerra catastrofica potrà sterminare milioni di persone, ma non farà estinguere i Sapiens; mentre il problema climatico rischia di compromettere il futuro di tutte le future generazioni. Questo è il momento in cui l’umanità deve unirsi e non per dividersi. È questo l’attimo cruciale in cui ancora ci è concesso di intervenire per evitare che il danno climatico diventi irreversibile.

L’umanità ha poco tempo – meno di dieci anni – e se in questo tempo dovesse perdersi per combattere inutili guerre, per il clima del pianeta, per un milione di specie viventi a rischio di estinzione e per il benessere stesso del genere umano, non ci sarebbe scampo.


[1] https://web.archive.org/web/20130116152834/http://www.fas.org/blog/ssp/2012/07/b61-12gold.php

[2] https://www.forbes.com/sites/lorenthompson/2013/11/22/what-planes-cost-and-why-550-million-is-cheap-for-a-new-bomber/?sh=6b17fe3155b2


[1] Stime del governo ucraino sui danni causati dalla guerra: https://www.euronews.com/green/2022/10/04/ukraine-estimates-more-than-35bn-in-environmental-damage-has-been-done-by-russias-invasion

[2] “Migration and Climate Change” 2008, ONU-IOM International Organization for Migration

[3] https://www.climateforesight.eu/articles/environmental-migrants-up-to-1-billion-by-2050/

[4] https://it.insideover.com/guerra/la-russia-cambia-la-sua-dottrina-di-impiego-delle-armi-nucleari.html?fbclid=IwAR1cmFwwf4Y8rPT_W0PZi6txmwLQEe3YwhvgKRGNcF-k_gu820E9V57vXW4