Ma che cos’è il “nuovo nucleare” di IV Generazione?

Si parla di “nuovo nucleare” ma in pochi sanno che cos’è e cosa comporta

la IV generazione è ancora lontana. Problemi di sicurezza, stabilità e costi potrebbero fermare lo sviluppo del “nuovo nucleare”

Copertina libro "Ritorno al pianeta" di Pierluigi AdamiLeggi anche: “Ritorno al pianeta – l’avventura ecologica dai Neanderthal alla pandemia” saggio di Pierluigi Adami – prefazione di Roberto Morassut (Bordeaux Edizioni (settembre 2021)

Il “nuovo nucleare”: ma che cos’è veramente?

In linea di principio, dibattere e discutere su qualsiasi argomento fa parte del processo democratico. Tuttavia quando i temi sono tecnicamente o scientificamente complessi, non è facile esprimere opinioni che siano anche basate su argomenti solidi e ben motivati.

Qui riporto la mia opinione, da persona che con il nucleare ha avuto un po’ a che fare. Nel 1986 (anno di Chernobyl!) completai la mia tesi di laurea in ingegneria nel laboratorio del reattore nucleare sperimentale dell’ENEA Casaccia, quando ancora ENEA era l’Ente nazionale energia atomica ed energie alternative, tesi sui sistemi di controllo automatico dei fasci tubieri di raffreddamento dei reattori nucleari. In questo post cerco di fare un po’ di chiarezza, perché nel rinnovato dibattito sul nucleare ho sentito diverse imprecisioni e tante sciocchezze. Ad esempio, giorni fa, durante un pranzo, un architetto celebrava le virtù del “nuovo nucleare di IV generazione” perché, secondo lui, la “fusione nucleare è la soluzione al problema climatico“. Peccato che la fusione non c’entri nulla con i reattori di IV generazione di cui si sta parlando, prima con le uscite del ministro Cingolani, ora in campagna elettorale.

Cosa sono le centrali nucleari di IV generazione?

Esistono sei (6) tipologie di reattori di IV generazione selezionati dal Generation IV International Forum (GIF) che include i principali paesi e i costruttori di reattori. Sono tutti reattori a fissione e si distinguono soprattutto per i diversi tipi di sistemi di raffreddamento dei reattori (a gas, a sodio, piombo o sale liquido, supercritico ad acqua, ad altissima temperatura).

Tecnicamente parlando, i reattori di IV generazione sono a “neutroni veloci” (fast reactors) e “autofertilizzanti”, cioè in grado di rigenerare nuovo combustibile dalle proprie scorie.

Nobile obiettivo, che però si paga, e caro, in termini di sicurezza. Vediamo perché.

Progetti e prototipi di IV generazione

L’autofertilizzazione (il reattore utilizza le scorie come nuovo combustibile, in un ciclo teoricamente chiuso) “crea” plutonio (Pu239) attivando l’uranio “povero” U238 per riavviare la fissione nucleare; altri progetti prevedono di usare le scorie di plutonio ottenute come scorie dai reattori tradizionali.

Si tratta di rimescolare materiale molto fissile e per questo la stabilità dei sistemi di IV generazione è un fattore molto delicato, ancora tutta da dimostrare.

Il primo prototipo di centrali di questo tipo non diede le garanzie sperate: la centrale francese Super-Phénix fu chiusa nel 1997 dopo una vita travagliata, caratterizzata da incidenti, frequenti perdite nell’ambiente di materiale radioattivo, fermi e riavvii.

Per ora, non ci sono nuovi prototipi nei paesi occidentali e democratici, dove la IV generazione è ancora a livello di ricerca e sviluppo. Esistono invece due prototipi, uno russo (BN-600) raffreddato al sodio, uno cinese, raffreddato a gas (elio). Quello cinese è costato 16 miliardi. Sono reattori altamente sperimentali, che comunque (a parte i problemi di guerra e geopolitici), non potrebbero essere costruiti in Italia, né a breve, né a medio termine, per questioni di sicurezza e stabilità.

C’è anche un progetto italiano di IV generazione

Tra i progetti “sulla carta”, ad agosto 2021 è nato a Torino anche un progetto italiano, Newcleo, del fisico Stefano Buono, che ha raccolto 400 milioni di fondi (il reattore sperimentale cinese è costato 16 miliardi). Il progetto, del tipo raffreddato a piombo, prevede l’uso di cilindri di combustibile da 10 tonnellate, ad elevata concentrazione di plutonio. Il progetto sulla carta è per un prototipo da 30 MW da implementare in Gran Bretagna e Francia. L’obiettivo è arrivare a mini-centrali da 200 MW.

Nonostante le dichiarazioni di Buono, visto lo stadio così preliminare del progetto, ammesso che arrivi in porto e che i costi risultino sostenibili, in paesi già nucleari serviranno (almeno) 20 anni per produrre i primi chilowattora vendibili, tra definizione del progetto, costruzione del prototipo, test e ingegnerizzazione, sino alla realizzazione di un reattore commerciale. in Italia reattori di questo tipo non arriverebbero prima del 2050. Troppo tardi, perché a quel tempo avremo modi ben più semplici e sicuri per produrre elettricità. Senza usare plutonio.

reattori ad alta concentrazione di materiale fissile

Questi reattori richiedono un combustibile con elevata concentrazione di materiale fissile (uranio 235 e plutonio 239), di solito oltre il triplo di quella tipica dei combustibili tradizionali (3-5%). Il prototipo russo, addirittura usa un combustibile con percentuale di U235 tra il 17% e il 26%, quasi 10 volte di più rispetto ai combustibili nucleari tradizionali. Combustibili con concentrazioni di materiale fissile ancora più elevate, producono reazioni a catena incontrollabili ed esplosive, e vengono usati nelle bombe atomiche.

Come si può immaginare, questa elevata concentrazione di uranio235 o plutonio239 rende il combustibile molto critico da gestire in sicurezza.

La “fertilizzazione” dell’uranio povero

Perché serve tanto plutonio o uranio arricchito in queste centrali? Poiché è necessario avere “molti più neutroni in giro” affinché, oltre al processo di fissione degli atomi (che si spaccano a seguito dell’urto dei neutroni, liberando energia e altri neutroni), avvenga la “fertilizzazione”, ossia la trasformazione della scoria – il pacifico uranio 238, che non è fissile – in un nuovo materiale radioattivo, il plutonio 239, in grado di produrre ulteriore fissione.

Il rischio della proliferazione di ordigni atomici

Questa caratteristica del combustibile di alcuni progetti di IV generazione (non di tutti) potrebbe diventare un problema ai fini della non proliferazione delle armi atomiche. Infatti, i sistemi di arricchimento dell’uranio a bassa concentrazione per le centrali tradizionali, non sono adatti a produrre il plutonio per le armi; viceversa, produrre combustibile con concentrazioni fissili intorno al 20% o oltre, come nel caso del prototipo russo, potrebbe servire anche a produrre plutonio per gli ordigni atomici. Servono dunque regole e limiti da non superare, a livello internazionale.

E’ bene ricordare che il plutonio è uno dei materiali più tossici e pericolosi che esistono al mondo. La “emivita” radioattiva dell’isotopo plutonio 239 (tempo di dimezzamento), persiste per 24.200 anni, sino a oltre 100.000 anni per altri isotopi generati nel processo di fissione nucleare.

I reattori di IV generazione sono molto più critici da gestire

Questa necessità produce due effetti:

  • i reattori veloci non utilizzano sistemi di contenimento della fissione (tipicamente, la grafite utilizzata in molti reattori tradizionali) o l’acqua, perché assorbirebbero neutroni che invece devono “fertilizzare” altri atomi. E’ una caratteristica che rende più complessi i sistemi di sicurezza dei reattori di IV generazione.
  • Sono in corso studi per reattori a fascio, la cui reazione a catena si interrompe automaticamente quando si blocca l’invio del fascio di neutroni da una sorgente esterna. Ma per ora sono solo studi e ci vorrano anni prima che diventino progetti concreti.
  • Il calore messo in gioco in questi reattori è così elevato che (salvo un tipo) non si può usare l’acqua come sistema di raffreddamento. Invece, nei reattori di IV generazione si usano gas, sodio, sale o piombo liquido. Anche in questo caso, il sistema è più complesso da gestire in termini di complessità e sicurezza (in questo articolo dell’ENEA trovi accenni ai sistemi a piombo liquido)

Qual è la potenza di un reattore di IV generazione? Come un parco eolico

Per i motivi suddetti, i progetti in corso di sviluppo sono per reattori di piccole dimensioni, da 200-300 MW, contro la potenza dei reattori tradizionali da 1000-1600 MW. Questo significa che, per garantire una quota non marginale di elettricità in un paese come l’Italia, di reattori di IV generazione ne servirebbero almeno 30. Anche se alcuni siti – di costruzione complessa – possono ospitare più di un reattore, è intuitivo che non sarà facile trovare molti siti disponibili nel nostro Paese.

Va inoltre osservato che i campi eolici odierni sono da 200 MW o ben oltre (sino a oltre 1000 MW), potenza eolica che nel giro di pochi anni è destinata a crescere notevolmente, a parità di superficie occupata. Anche se la produzione eolica dipende dal vento, i costi e i tempi di costruzione di un impianto eolico sono molto inferiori a quelli del nucleare, vecchio e nuovo; a differenza del nucleare, l’eolico non richiede grandi costi di esercizio, né di gestione di materiali altamente pericolosi.

Il problema del nucleare di IV generazione è che arriverà tardi, superato da altre tecnologie meno rischiose e non inquinanti.

La sicurezza si paga caro

Di certo la sicurezza si paga a caro prezzo in termini di costi del reattore. Considerando che oggi si costruiscono pochi nuovi reattori perché il loro costo è insostenibile, la fattibilità economica dei reattori di IV generazione è tutta da dimostrare.

La scelta progettuale, come abbiamo visto, è di costruire reattori di piccole dimensioni. Presi singolarmente, il loro costo sarà probabilmente più abbordabile rispetto agli 11 miliardi di euro di costo del reattore francese EPR da 1600 MW. Ma l’elettricità prodotta da reattori da 200 MW è molto inferiore, e dunque i costi del chilowattora potrebbero comunque non essere convenienti. Specie se confrontati con quelli di parchi eolici di pari potenza (o anche molto superiori).

Brucia ancora la disfatta dei reattori EPR di generazione III+ della francese Areva, risultati economicamente insostenibili: infatti Areva è fallita.

Il reattore EPR Olkiluoto-3 in Finlandia, era stato autorizzato nel 2005 e doveva entrare in funzione entro il 2009 (vedi notizia). Siamo nel 2022 ed è da poco in fase pre-operativa. Doveva costare 3,3 miliardi ed è arrivato a costarne 11 (vedi Reuters). Dopo 17 anni di costruzione, in un sito già nucleare, in un paese con poca burocrazia.

Se l’Italia – che parte da zero – dovesse finanziare uno dei progetti di IV Generazione, candidandosi a ospitare centrali di questo tipo sul territorio nazionale, ammesso che mai saranno costruite, non produrranno un chilowattora prima del 2050.

Il nucleare contro i cambiamenti climatici? In Italia è inutile

Sfatiamo dunque l’idea che il nucleare a fissione – vecchio e nuovo – possa servire a risolvere i problemi energetici nazionali, a combattere i cambiamenti climatici e tantomeno a ridurre i prezzi delle bollette, visto che il nucleare di nuova costruzione è la fonte più costosa (salvo l’attuale fase di prezzo del gas dovuto alla guerra e alla speculazione).

La partita del clima si sta giocando adesso. Entro pochi anni o si vince o si perde. Serve energia pulita subito. Entro il 2030 dobbiamo ridurre del 55% le emissioni di gas serra, e soddisfare il 72% dei consumi elettrici con le fonti rinnovabili. Questa è la vera sfida per l’Italia. Nel 2050 avremo già quasi azzerato i consumi di fonti fossili grazie all’efficienza energetica e alle fonti rinnovabili, che diventeranno sempre più efficienti e convenienti. Nel 2050 disporremo di tecnologie rinnovabili che oggi non possiamo neanche immaginare, in grado di generare in modo pulito l’energia che serve. Senza bisogno di utilizzare plutonio, uranio e altri combustibili pericolosi.

Investire oggi sul nucleare a fissione in Italia – oltre che tardivo – significa distogliere grandi investimenti dalle rinnovabili, incluse quelle di nuova generazione come l’elettricità prodotta dal moto ondoso e dalle maree.

Il “nuovo nucleare” non produce scorie? Non è vero

Quando si dice che il “nuovo nucleare pulito” di IV generazione non produce scorie, si afferma un’inesattezza. Un reattore nucleare a fine vita – anche quelli futuri di IV generazione – comporta costi estremamente elevati per lo smantellamento della centrale e delle componenti contaminate e la necessità di stoccare i materiali radioattivi per centinaia (anche migliaia) di anni in depositi adeguati e sicuri. Peraltro l’elevata concentrazione di materiale fissile nei combustibili di IV generazione, fa supporre più accentuati problemi di corrosione in questi impianti, dovuti alla più alta radioattività nei futuri reattori.

Non è detto dunque che la vita di esercizio dei futuri nuovi reattori possa arrivare a 40 anni o essere estesa a 60, come accade per alcuni reattori attuali.

Lo smantellamento di un impianto nucleare è un’opera estremamente complessa, lunghissima, costosa e non priva di rischi. In Italia abbiamo iniziato nel 2002 a smantellare le nostre 4 vecchie centrali nucleari, a Caorso, Trino Vercellese, Latina e Garigliano. Ci lavorano centinaia di tecnici e ingegeneri di Sogin altamente specializzati. Ebbene, dopo 20 anni, siamo arrivati a completare solo il 35% dello smantellamento.

Il nucleare a fissione non conviene neanche in prospettiva

Per i motivi esposti sino a qui, ha ragione Francesco Starace AD di ENEL (peraltro, ingegnere nucleare): il nucleare a fissione non ha un futuro e non arriverà in tempo per risolvere i cambiamenti climatici. Rispondendo al ministro Cingolani che inneggiava al nucleare di IV generazione, l’ing. Starace ha risposto “Basta fantascienza, all’Italia servono rinnovabili e batterie”.

Il mondo di oggi va velocissimo. Non ha tempo di aspettare per decenni la costruzione di centrali nucleari. Il progresso delle rinnovabili è fenomenale e in pochi anni disporremo di tecnologie certamente straordinarie e a basso costo.

Ciò non toglie che in alcuni paesi già nucleari, come la Francia, e fortemente dipendenti dal carbone, come la Cina o gli USA, vecchie centrali nucleari ormai obselete potranno essere sostituite da quelle di nuova generazione. Ammodernare un sito già nucleare costa meno che costruirne uno nuovo da zero.

L’impatto dell’effetto NIMBY: l’Italia non è l’Arizona

Infine, dobbiamo essere realisti. Oggi molti commentatori dichiarano che il nucleare è sicuro e conveniente, ma quanti di loro vorrebbero una bella centrale atomica, di nuova generazione – per questo poco sperimentata – vicino a casa propria? La sindrome NIMBY non è un atteggiamento condivisibile, ma colpisce moltissime persone. In Italia si mobilitano le masse perché l’eolico disturberebbe il paesaggio; come reagirebbero quelle stesse masse vedendo un impianto che brucia plutonio nei loro paraggi?

Comunque l’Italia non è la Siberia, l’Arizona o il deserto dei Gobi. E’ una terra densamente abitata, soggetta a terremoti e dissesto idrogeologico, e qualche preoccupazione per i problemi di sicurezza è legittima.

Ne è una prova il deposito delle scorie nucleari: in Italia se ne iniziò a parlare nel 2002 e comunque avremmo dovuto definire il deposito nazionale delle scorie radioattive entro il 2011, iniziare a costruirlo entro il 2014 e completarlo entro il 2020. Ad oggi, non abbiamo ancora neanche deciso dove andrà il deposito nazionale, perché nessuno lo vuole. Eppure il deposito è un progetto assolutamente sicuro che può dare lavoro molto qualificato a 4000 persone.

E la ricerca sul nucleare a fusione?

Altro discorso è la ricerca sui reattori a fusione. In una prospettiva di lungo termine, dopo il 2050, potrebbe essere una tecnologia interessante – e anche affascinante – perché ricostruisce il modo in cui il Sole produce energia. Ma è estremamente complessa e siamo ancora lontanissimi da sviluppi operativi, anche se il prototipo europeo dà risultati incoraggianti. Oggi non sappiamo neanche se ci saranno mai centrali a fusione commerciali, ma comunque non avverrà prima del 2060.

E’ però sicuro che nel 2060 avremo altre tecnologie meno complesse per produrre energia pulita a basso costo, per cui anche il nucleare a fusione potrebbe essere inutile. Tuttavia, investire in ricerca scientifica su questo tema non è sbagliato. Non è del tutto vero che in Italia non si fa più ricerca sul nucleare: nel 2027-30 potrebbe iniziare la realizzazione di un primo prototipo di reattore sperimentale internazionale a fusione. Ebbene, il 60% dei componenti è italiano.